Un Primo Maggio di dolore, ma il ‘900 è finito! Basta privilegi. Nuove regole sulla Rappresentanza.

Il virus ha messo l’Italia con le spalle al muro, ma con gli effetti che ci ha costretti a fronteggiare può aprire un piccolo squarcio nella fitta coltre ideologica che ci ha reso complici di un meccanismo riproduttivo e disumano dell’economia globalizzata, divenuto ormai tossico. Nella giornata del Primo Maggio, non possiamo non affrontare le conseguenze che questa pandemia produrrà sul sistema economico, produttivo e soprattutto nel mondo delle aziende e sulle persone, sia sul versante lavorativo che su quello della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Volenti o nolenti, per effetto del virus, siamo ormai tutti obbligati a fermarci e ad ascoltare il silenzio di un mondo che, almeno per ora, sembra non appartenerci più, almeno se non sapremo contrapporre idonei correttivi, ponendo al centro la persona e la salute. Persone e salute che risultano essere le sole componenti in grado di garantire l’economia ed il lavoro. Questo ci porta a dover ridisegnare un nuovo ordinamento sociale e riscrivere le regole del gioco democratico e della stessa dialettica politica e sociale, a partire da quelle che presiedono all’ordinamento giurisprudenziale sul lavoro e sull’economia.

Il lavoro e le su modalità operative cambieranno profondamente

Siamo nell’era trasformazione sociale che corre dietro Industria 4.0 e l’intelligenza artificiale. L’accesso alla rete e le nuove tecnologie, soprattutto digitali hanno prodotto e continuano a produrre significativi cambiamenti nel modo di lavorare e produrre. Penso che oggi non è più da domandarci come cambierà il lavoro perché è già cambiato e continuerà a farlo in modo sempre più veloce. Dobbiamo solo abituarci in via definitiva all’idea del cambiamento. Basta vedere cosa era già avvenuto e avviene nei servizi. Oggi dobbiamo confrontarci sempre più con l’E-Commerce, ormai una realtà diffusa. Spariscono sempre più negozi e si acquista su piattaforme globali. Così come la ristorazione che ha tirato il carretto con la consegna a domicilio; il lavoro si svilupperà sempre più verso i servizi. Rimarranno lavori umili che saranno al servizio di chi ha poco tempo e può pagare il tempo degli altri: pulizie, baby-sitting e persino dog-sitting, assistenza agli anziani, cura alle persone e altre attività collaterali.

Questo quadro chiede nuove competenze e attenzioni alla Politica e alla Pubblica Amministrazione

Quali nuove competenze occorreranno alla Politica? Questa e la macchina pubblica del nostro paese sono pronte a cambiamenti così epocali e a un compito così enorme? Queste sono le domande chiavi che si dovrebbero gli attoti politici e gli amministratori locali e regionali, quindi risulta essere l’ABC che per accompagnare l’azione di ogni ente governativo, a qualsiasi livello.

Oggi la politica è ancora più debole e con equilibri precari. La macchina pubblica fatica, ormai da decenni, a portare a terra (a realizzazione) gli interventi affastellati dal legislatore, perché è stata usata spesso per piccoli tornaconti elettorali o come una mucca da mungere per assicurare bacini elettorali a questa o a quella forza politica, tagliando invece risorse risorse preziose a settori strategici, quali appunto la sanità, la ricerca, la formazione, l’insegnamento, l’innovazione.

Non si è mai fatta una riforma vera della pubblica amministrazione, a cominciare dalla riforma burocratica, capace di partire dai processi reali e da ciò che non va e dal modo in cui quei processi creano valore e ricchezza per la società civile, piuttosto che solo norme sul pubblico impiego.

Questi ritardi adesso ci costeranno caro: già dai primi pacchetti d’interventi si capisce che i Paesi che usciranno meglio dalla crisi sono quelli dove la politica ha una grande visione e la macchina pubblica è capace di aiutarla portando a terra con realizzazione e velocizzazioni delle procedure, quindi con strumenti mirati, senza ritardi e senza disperdere risorse, le azioni del legislatore e dell’organo di governo.

 La strada da intraprendere

Insieme alla cosiddetta “visione”, alla consapevolezza della strada che si dovrà andare ad intraprendere e a un progetto d’insieme capace di traguardare i prossimi trent’anni almeno, servono nuove competenze: economisti, scienziati sociali, costituzionalisti, esperti di management, organizzazione del lavoro, logistica, amministrazioni pubbliche efficienti. La politica, però, deve saperli scegliere e inserirli in un processo che preveda tempiobiettivi e responsabilità, ma alla fine dovranno essere la politica e chi governa a dover sapere assumere le decisioni più adeguate. Io rivendico il valore ed il primato della politica. Ma senza una visione d’insieme, un progetto di lunga gittata, quindi di un piano e un metodo, si aumenta solo l’entropia.

 Il lavoro e il lavoratore all’indomani del Covid 19

Bisogna riscrivere le regole del gioco. Serve velocità e snellimento delle procedure. L’emergenza sanitaria ha obbligato molte aziende ad attivare lo smart working per i propri lavoratori; nel giro di poco siamo riusciti a passare dai 570 mila smart worker censiti a ottobre 2019 dall’Osservatorio del Politecnico di Milano a oltre 10 milioni di home worker. Dobbiamo prendere atto che nel futuro la tecnologia ci terrà sempre più a casa. I lavori di ufficio, da quelli dei professionisti a quelli della Pubblica amministrazione, dell’insegnamento a distanza, della stessa Magistratura, possono essere svolti nelle proprie abitazioni senza troppi intoppi. Purché si rispettino alcune regole base:

La prima, l’infrastruttura di rete dovrà essere eccellente e resa fruibile per tutti i lavoratori e le lavoratrici, attraverso un massivo investimento in fibra perché i collegamenti siano veloci. Naturalmente il lavoratore se dovrà fare “lavoro agile” occorra che sia l’azienda a fornire il PC o il Tablet al lavoratore, ma a questa, perché ciò avvenga dovranno essere defiscalizzati i relativi acquisti anche con incentivi a fondo perduto, da parte del Governo.

La seconda, i lavoratori dovranno essere formati dall’azienda per affrontare una discreta alfabetizzazione digitale. La formazione è di competenza delle Regioni che dovranno aggiornare la loro progettualità ed offerta formativa.

Terza cosa, l’organizzazione del lavoro e la gerarchia decisionale dovranno essere perfette. Dovrà vigere un senso di reciproca fiducia tra azienda e lavoratore o capo ufficio e sottoposto. E se il lavoratore non avrà un senso di appartenenza al sistema produttivo aziendale tutto il sistema collasserà.

Cambiano le regole, cambiano i diritti e i doveri dei lavoratori, dovrà cambiare anche il sindacato

Attraverso un intervento legislativo regolativo, rispettoso dei principi e delle previsioni dell’art. 39 della Costituzione, letti in chiave evolutiva secondo l’insegnamento del diritto vivente si dovrà procedere all’attuazione della previsione Costituzionale in materia di libertà sindacali. Da settan’tanni è rimasta inattuata la regolamentazione per legge dell’art. 39 della Costituzione sull’esercizio delle libertà sindacali. Urge un intervento legislativo in materia. Nelle more noi pensiamo vada modificato l’art.19 della Legge 300/1970, per abolire la nomina delle R.S.A. in azienda con la elezione a suffragio universale delle R.S.U., da parte di tutti i lavoratori in azienda su liste presentate tutti i sindacati presenti anche se non firmatari del CCNL. Questo consentirà di aggiornare le relazioni industriali che mostrano evidenti segni di logoramento e provocano conflitti nelle aziende, cosa che si può evitare solo con regole certe in materia di rappresentanza, rappresentatività ed efficacia dei contratti collettivi. Tutto sommato niente di trascendentale, visto che la Costituzione, all’art. 39 prevede espressamente assieme al principio-precetto della libertà e del pluralismo sindacali anche la regolazione per legge di queste materie.

Il  giorno della ripresa non sarà facile

La cosiddetta fase due non sarà facile, non tanto perché bisognerà riprendere le attività economiche e produttive con tutte le ripercussioni sui cittadini, i lavoratori e gli imprenditori per i disagi e i danni economici subiti, ma si tratterà di capire come e da chi ripartire verso una possibile normalità, coinvolgendo, senza esclusioni, tutto il sistema della rappresentanza sociale, senza anacronistiche posizioni di privilegio. Ci piaccia o no, a tutto questo bisognerà dare risposte e l’intervento dello Stato dal punto di vista economico/finanziario dovrà essere invasivo, poiché il punto è che prezzi e altri segnali di mercato non garantiranno un’efficiente allocazione delle risorse, finché non torneremo a una nuova normalità, che a mio modo di vedere non arriverà prima del prossimo autunno.

La Scuola e le nuove modalità del tele insegnamento

La chiusura delle scuole ha creato una situazione senza precedenti, che ha catapultato all’improvviso tutti gli insegnanti italiani nel mondo della didattica a distanza. Naturalmente, il lockdown ha colto impreparata la scuola. Una realtà che già faceva registrare carenze strutturali, improvvisamente si è trovata proiettata nel XXI secolo a dover gestire il mondo dell’e-learning.  I rischi sono tanti: dal monologo dell’insegnante a una classe virtuale che si distrae con più facilità alla necessità di una presenza reale per le materie più pratiche (dalla musica all’educazione fisica). Senza considerare, poi, quei ragazzi che necessitano di un insegnante di sostegno non solo per l’apprendimento nozionistico, ma anche per la fondamentale interazione diretta con i compagni.

La sanità dovrà cambiare e superare le fragilità dimostrate

Il Governo, attraverso il Ministero della Salute, dovrà Coordinarsi con Regioni e Sindaci, con un disegno organico e standard di assistenza univoci per tutto il Paese. Questo richiede burocrazia zero, più terzo settore e sistema del volontariato all’opera, quindi, più patronati sindacali, per evitare rischi di implosione dell’INPS.

Il futuro dell’economia e dell’occupazione è nelle nostre mani

C’è da pianificare una grande e lunga transizione, ma non riusciremo a farlo se non avremo un progetto, una visione e senza tenere in testa queste sfide per il dopo. Dobbiamo svegliarci dal sonno ideologico che ha reso per troppo tempo le nostre vite mere appendici di un anonimo dispositivo definito “globalizzazione”, che poi invece si è dimostrato essere la supremazia della finanza sulla produzione e il mercato sregolato senza una umanizzazione dei ritmi e delle forme di lavoro indotte dalle nuove tecnologie. Questo ha finito per distruggere tutto ciò che gli si parava davanti, incluse quelle risorse preziose che sono le persone, il cosiddetto capitale umano. In questa fase di grande incertezza per l’occupazione, dovuta da una parte al fermo delle attività per effetto del Covid ma anche alla atavica mancanza – tutta italiana – di investimenti pubblici e privati, si aggiunge la diminuzione delle prestazioni del welfare locale e l’impoverimento del nostro sistema sanitario che ha mostrato tutta la sua fragilità. Fragilità causata dai pesanti tagli dei trasferimenti (alla sanità soprattutto) agli enti territoriali, proprio mentre la domanda di prestazioni sociali registra un costante aumento, come conseguenza dell’estendersi della povertà relativa e di quella assoluta, anche nelle aree urbanizzate. Ci saranno bisogni sociali vecchi e nuovi di cui prendersi cura a lungo, e ci saranno debiti da ripagare, che non possiamo fare finta di ignorare. La coesione sociale si mantiene con i diritti sul lavoro e con un welfare sanitario, educativo, formativo, di sicurezza sociale adeguato. Tutto questo ci dice che la grande e lunga transizione da pianificare non riuscirà se non avremo un progetto, una visione di futuro lungo e senza tenere in testa e a mente queste sfide per il dopo. Questa nuova fase richiede attenzione, conoscenze, nuova ricerca, innovazione, visione d’insieme e capacità di essere all’altezza delle sfide che ci richiedono di riscrivere le regole di una nuova e più umana globalizzazione che mette le persone, l’ambiente, la salute e il lavoro al centro e quindi sa in che direzione andare.

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