Pensare a un nuovo Welfare State

EDITORIALE

Il Welfare italiano è stato pesantemente destrutturato negli anni della cosiddetta “Seconda Repubblica”, ma anche dalla terza, mai concretizzatasi. Sul versante sociale si deve osservare che ciò che resta del sistema di sicurezza sociale, ben poco in verità, è ispirato a vecchie logiche risarcitorie che non possono dare risposte ai fenomeni della frantumazione delle forme lavorative, l’intermittenza delle prestazioni, il proliferare di lavori precari né subordinati né autonomi, le nuove povertà.

Tutti concordano ormai che il nuovo Stato sociale non possa che essere ridisegnato a partire dai problemi dell’esclusione e della marginalità sociale, utilizzando politiche di inserimento che dettino le condizioni per la reintegrazione dei soggetti deboli nella società, attraverso buone pratiche di prevenzione, cura, assistenza, inserimento lavorativo e formazione professionale. E tal proposito, nel mentre si proclama da parte del governo l’esigenza di investire sulla formazione del capitale umano, le controriforme Moratti-Gelmini-Giannini, nel tempo, si sono mosse nella direzione di indebolire ulteriormente l’istruzione pubblica, gratuita e uguale per tutti, a vantaggio di quella privata, e le università statali, strumenti fondamentali per garantire pari opportunità, eliminando le barriere censuarie e di classe.

Tristano Codignola, padre negli anni del primo centrosinistra della riforma scolastica, parlava dell’istruzione pubblica come “scuola aperta a tutti, questa e soltanto questa è obbligatoria e gratuita”, ma da un po di tempo i vari governi sembrano essere stati tutti impegnati a smantellare la scuola di promozione sociale, per affidare le giovani generazioni al darwinismo sociale.

Oggi la  cd. “buona Scuola” e tanti altri provvedimenti minori hanno destrutturato il sistema scolastico e universitario facendo di fatto ridiventare l’istruzione una cosa da ricchi, accentuando il divario fra il centro e la periferia per tornare a garantire i diritti del censo rispetto a quelli della meritocrazia.

Così come la paventata autonomia regionale differenziata non potrà che avere quale effetto quello di abbassare la qualità dei servizi pubblici, già in media abbastanza scarsi, nel Mezzogiorno, a partire dalla sanità dai livelli minimi essenziali.

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