Sempre più spesso, in questo periodo di crisi, capita che il lavoratore non riceva quanto dovuto o, nel peggior dei casi, non riceva persino lo stipendio. Vediamo come bisogna muoversi in questi casi.
Prima regola fondamentale per ogni lavoratore: mai firmare per quietanza la busta paga se non si riceve tutto o parte dello stipendio. In tal caso la firma, pur consistendo in un riconoscimento formale dell’avvenuto pagamento, non precluderà la possibilità di rivendicare il versamento di quanto effettivamente dovuto, ma la renderà semplicemente più lunga e complicata.
Del tutto diverso è il caso in cui la firma venga apposta per ricevuta e presa visione della busta paga; in questo caso verrà riconosciuto solo il ricevimento del documento (la busta paga) ma non il versamento dello stipendio.
Infine, qualora lo stipendio venga integralmente versato, così come indicato sulla busta paga, ma il lavoratore lamentasse un importo ricevuto non congruo al lavoro effettivamente svolto, quest’ultimo potrà intraprendere una causa per ottenere le differenze retributive, a prescindere dall’aver firmato per quietanza la busta paga.
In entrambi i casi, il lavoratore potrà agire entro il termine di 5 anni dalla cessazione del rapporto.
Seconda regola: mettere in mora il datore di lavoro e sospendere la decorrenza dei termini. Quest’azione può essere svolta da un avvocato, da un’associazione sindacale ed anche dal lavoratore stesso.
Il codice civile ex art. 1219 così sancisce: “Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto” prevedendo, successivamente, casi specifici in cui non è necessaria la messa in mora.
Terza regola: qualora la semplice messa in mora non riuscisse nel suo scopo di indurre il datore di lavoro al versamento dello stipendio, il lavoratore potrà sempre esperire il tentativo facoltativo di conciliazione.
Il tentativo di conciliazione potrà avvenire in sede sindacale o presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL).
Nel primo caso, il rappresentante sindacale, per conto e in nome del lavoratore, inviterà il datore di lavoro a risolvere bonariamente ed in via stragiudiziale la controversia in sede sindacale. L’eventuale accordo raggiunto dovrà essere verbalizzato e sottoscritto dalle parti, nonché dal rappresentante sindacale, e depositato presso la DTL competente per territorio.
Nel secondo caso, il lavoratore e/o il datore di lavoro, anche tramite le rispettive associazioni di categoria, potranno promuovere il tentativo facoltativo di conciliazione dinanzi alla Commissione di Conciliazione competente per territorio. In pratica, dovrà essere presentata, al relativo ufficio, una richiesta scritta di convocazione della Commissione di conciliazione, la quale fisserà una data di udienza utile al raggiungimento dell’accordo.
In entrambi i casi, se le parti dovessero trovare un accordo, il relativo verbale varrà quale titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro.
Quarta regola: qualora la conciliazione non fosse stata tentata o, una volta tentata, non fosse andata a buon fine, il lavoratore potrà adire il giudice in diverso modo, a seconda che abbia, o meno, un titolo esecutivo.
Nel caso in cui il tentativo di conciliazione non fosse avvenuto, il titolo esecutivo sarà rappresentato dalla busta paga non quietanzata e il lavoratore potrà semplicemente chiedere a un avvocato di presentare ricorso per decreto ingiuntivo.
Nel caso in cui, invece, il tentativo di conciliazione avesse portato ad un accordo sottoscritto dalle parti, il titolo esecutivo sarà rappresentato dal verbale di conciliazione, prova inconfutabile del debito che il datore di lavoro ha nei confronti del lavoratore. Qualora il datore non rispettasse quanto stabilito nel verbale il lavoratore, anche in questo caso, potrà chiedere a un avvocato di presentare ricorso per decreto ingiuntivo.
Tale procedimento, nel giro di un paio di mesi, permetterà al lavoratore di ottenere, da parte del giudice, un ordine di pagamento nei confronti del datore di lavoro, senza la necessità di instaurare una causa.
Il datore, a sua volta, avrà 40 giorni dalla notifica del decreto per decidere se pagare, se non pagare e subire un’esecuzione forzata oppure se presentare un’opposizione. In quest’ultimo caso, si aprirà un giudizio ordinario che allungherà di gran lunga i tempi di recupero del credito ma, nonostante tutto, sarà possibile per il lavoratore ottenere, anche in pendenza di causa, il pagamento di quanto a lui dovuto con la semplice richiesta di rendere temporaneamente esecutivo il decreto ingiuntivo.
Inoltre il lavoratore, nel caso in cui non sia in possesso del contratto di lavoro o della lettera di assunzione, avrà sempre il diritto di agire in giudizio, promuovendo fin dall’inizio una causa ordinaria, in tali casi, però, dovrà dare prova dell’esistenza del rapporto di lavoro attraverso prove documentali quali: buste paga, CUD o qualsiasi altro documento; è bene specificare che in tali ipotesi diventa dirimente, ai fini della risoluzione della controversia in senso favorevole al lavoratore, la prova testimoniale.
Quinta regola: ottenuto il decreto ingiuntivo o vinta la causa ordinaria, se il datore di lavoro non adempisse al pagamento, sarà possibile per il lavoratore richiedere l’esecuzione forzata e, qualora la stessa non portasse ad alcun risultato, sarà possibile per il lavoratore chiedere il fallimento del datore di lavoro. Una volta dichiarato il fallimento, il lavoratore, attraverso la procedura di “insinuazione al passivo”, riceverà il pagamento degli ultimi 3 stipendi e del TFR da parte del Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS, mentre per i restanti crediti sussisterà il rischio di non veder soddisfatto il proprio credito, qualora l’azienda fosse priva di attività.