“La crisi profonda, che unitamente alla pandemia sta mettendo a dura prova tutto il pianeta, sta disegnato un mondo ancora più diviso e disuguale, sia fra i diversi modelli (occidentali, orientali, ecc.) sia all’interno degli Stati con profondi e più acuiti squilibri tra nord e sud .
Lo scenario è cambiato. Scisso il binomio cultura-territorio, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere, all’incontro–scontro tra collettività, economie, civiltà lontane e differenti, anch’esse messe a dura prova per come abbiamo visto in America da nuovi e folli sovranismi, che portano al limite dell’istigazione all’insurrezione. E se nel passato culture integrate facevano riferimento ad ambienti spaziali differenti, ora realtà culturali diverse devono condividere lo stesso territorio. La vita contemporanea ha luogo all’interno di nuovi paesaggi delineati da network e flussi di persone: immigrati, rifugiati, lavoratori stagionali, professionisti, nuovi disoccupati, nuovi emarginati, nuove e più pericolose povertà. Questi si muovono provocando una netta contrapposizione fra le omogeneità del flusso e la disomogeneità del territorio attraversato dal flusso.
Spettatori ed attori di un vero e proprio passaggio epocale, al punto che è difficile cercare di capire cosa sta veramente accadendo. E’ un fenomeno nuovo. Percepiamo l’incredibile forza, in termini di diffusione, di informazione e di formazione di questo nuovo tipo di circolazione e comunicazione che chiamiamo “rete”.
Nell’Europa della prima parte del ‘900 solo un piccolissimo numero di persone si sentiva parte di una autentica cittadinanza; la popolazione poco alfabetizzata era esclusa per mancanza di acculturazione. Oggi invece, che i nuovi e diffusi strumenti elettronici permettono al pescatore indiano come al contadino africano, di accedere a tutte le informazioni, si assiste ad un fenomeno enorme e sempre più veloce che cresce quasi esponenzialmente, di inclusione di un numero sempre maggiore di individui.
Centinaia di milioni di persone, dalla Cina all’India, all’America Latina ed ora alla stessa Africa vanno ad accrescere le cosiddette “classi medie”. Economia e tecnologia si trasformano in opportunità e domanda politica. Al di là dei confini del vecchio Occidente, abbiamo a che fare con una popolazione fatta soprattutto di giovani, capaci di accedere a tutte le informazioni e così più pronti a contestare il presente che a temere il futuro.
Sia in occidente che nel Terzo mondo questi fenomeni sono in gran parte sotterranei e, a differenza del passato, sostanzialmente privi di connotati ideologici. Forse anche per questa ragione ci è difficile prevederli e ci è ancora più difficile riuscire a classificarli secondo i nostri vecchi schemi. Conosciamo poco, troppo poco di queste trasformazioni e cosa ancora più grave non disponiamo di informazioni immediate e delle analisi consequenziali. Quello che si osserva in modo netto è che ad essere contestati non è la posizione internazionale o la ideologia di questo o di quel regime, ma la totale sordità ai bisogni della gente. Questo significa che quanto sta avvenendo apparentemente all’improvviso, nasce dalla completa insoddisfazione di un numero sempre crescente di persone, giunti ad un livello minimo di consapevolezza del loro destino e della loro condizione, delle quali non vedono la cosiddetta luce in fondo al tunnel.
Dovremmo avere imparato che non è sufficiente l’esercizio in qualsiasi modo del suffragio elettorale perché funzioni il complesso e delicato equilibrio politico-istituzionale, che corrisponde ad una reale democrazia, senza mettere mano ad una vera ed efficace riforma della burocrazia statale, che in Italia è divenuta la vera palla al piede, il freno di ogni principio di innovazione e riforme. In Europa sappiamo bene quanto è stato lungo il percorso, dalle prime rivoluzioni per lo Stato di diritto, ai regimi liberali dell’800 ed al suffragio universale del secolo scorso. USA ed Ue dovranno cercare di favorire la maturazione delle condizioni istituzionali e delle garanzie formali necessarie.
Questi cambiamenti ci costringono dunque a rivisitare molti dei concetti di base che ci hanno guidato sino ad ora e che hanno costituito il fondamento dei nostri modi di decidere e di operare. La società tutta è costretta a rinterrogare se stessa, a ripensare ed a riprogettare I suoi sistemi di vita, di lavoro, di conoscenza e di paradigma.
Capiamo che è indispensabile un “sapere” che esplori la complessità delle situazioni e dei problemi e sia capace di gestire in modo appropriato la grande varietà, variabilità ed indeterminatezza dei contesti in cui vanno prese le decisioni. In questo spazio globale, il nostro Paese, anche a seguito della pandemia, si trova di fronte ad un vero e proprio collasso economico, occupazionale ed anche sociale, con l’aggravante di un Governo che non ha una visione, un progetto d’insieme e che per questo potrebbe sprecare questa grande occasione che arriva dall’Europa con circa 300 miliardi di € dei vari Fondi messi a disposizione.
Sul versante della domanda. Gli investimenti sono fermi, i consumi ridotti, i risparmi in calo, la fiducia e le aspettative degli italiani sono in forte flessione. Si registra una bassa produttività “di sistema” con un bassissimo grado di utilizzo degli impianti, i salari sono bassi, i profitti vengono reinvestiti fuori dall’attività produttiva, e soprattutto si registra un sistema fiscale iniquo e depressivo per l’economia reale.
Sul versante dell’offerta. Si osserva un basso valore aggiunto, scarsissima innovazione nell’industria e nella ricerca applicata, nei servizi e nella Pubblica Amministrazione. La dimensione delle imprese è molto piccola, le specializzazioni di produzione sono a bassa intensità tecnologica e di conoscenza, bassissima propensione all’internazionalizzazione, inefficienza dei servizi finanziari e difficoltà di accesso al credito, insufficiente regolazione dei mercati e della concorrenza, inefficienza energetica e conseguenti costi alti, diseconomie di scala per gli assetti proprietari e management.
C’è una evidente rallentamento della domanda aggregata a livello mondiale e una forte depressione a livello europeo.
Gli interventi prodotti dal Governo Conte hanno agito sulle conseguenze ma non hanno mai guardato alle cause. L’architettura dell’euro e la politica economica europea, nonostante il dispiegamento di importanti risorse, non sono strutturalmente in grado di arginare la crisi ed avviare una vera ripresa del Paese e della stessa Europa.
Il risanamento della finanza pubblica e l’abbattimento dello stock di debito pubblico sono necessari, ma non possono essere perseguiti a scapito della crescita e, soprattutto, delle persone. La disumanità della globalizzazione è dimostrata dalla finanza distaccata e mai al servizio dell’economia reale.
E’ indispensabile ed urgente una nuova politica economica europea per consentire la crescita, ricercare la piena occupazione e risanare i conti pubblici.
Per poter ripartire il Paese ha bisogno di cose fondamentali e soprattutto di punti fermi e certezze.
La congiuntura negativa può essere superata solo se si affrontano i nodi strutturali, da versante della domanda e dell’offerta, che per molti versi, hanno portato l’Italia, addirittura, ad anticipare la crisi.
Ridare centralità al lavoro significa seguire nuove strategie di politica economica: nuove politiche industriali, nuove politiche sociali, nuove politiche fiscali progressive e capaci di ridurre il cuneo fiscale spostando il peso verso le ricchezze improduttive. Burocrazia azzerata con norme e regole chiare e semplici. Riorganizzazione e progettazione dei Fondi Europei. Investimenti pubblici diretti. Nuovo welfare inclusivo che non venga considerato un costo da comprimere ma una grande opportunità di sviluppo. Allentamento del Patto di Stabilità interno per gli investimenti innovativi ed a forte impatto occupazionale. Infrastrutture materiali, a cominciare dall’immediata realizzazione del Ponte sullo Stretto, ed immateriali.
L’evidenza per l’Italia è, poi, sicuramente quella del fallimento di un modello basato sul perverso modello di governance denominato federalismo differenziato. È la stessa idea di federalismo che deve essere rivista e depurata da tutte le incrostazioni che negli ultimi anni si sono accumulate a seguito degli incoerenti interventi legislativi fatti dai diversi governi che spesso, per inseguire il consenso, hanno dimenticato di valutare gli effetti delle loro scelte. La Lombardia, ed ora anche il Veneto, emblema dell’efficienza e dell’efficacia della sanità, è stata devastata molto più delle altre regioni dalla pandemia di covid-19. Con una letalità che sfiora il 20% il covid-19 ha messo a nudo tutta la debolezza di un sistema che, dietro un apparente aura di efficienza, nascondeva i limiti di un modello organizzativo basato sul modello aziendalistico che non aveva il paziente come riferimento finale. Il modello del regionalismo italiano deve essere ripensato e deve soprattutto correggere alcune anomalie nate dalla riforma del titolo V della Costituzione. Siamo consapevoli che di fronte ad una epidemia è difficile concepire una strategia di contrasto unica, ma se 20 regioni decidono in maniera difforme anche in condizioni di normalità le disparità regionali saranno rafforzate e ciò determinerà una forte competizione sulle risorse fra le diverse regioni il cui effetto non può che essere la mobilità sanitaria. La speranza è certamente quella di tornare ad una sanità nazionale capace di dare risposta a tutto il territorio nazionale. L’augurio è quello di riuscire ad investire concretamente nel sapere e nella competenza in modo da avere strumenti più idonei a prevedere e classificare eventi e leggi che si manifestano nel modo più svariato nel contesto sociale.
Viviamo ormai in un mondo complesso, connesso ed interdipendente. Un mondo dove la relazione interpersonale si integra con le tecniche della conoscenza, della comunicazione e la diffusione a rete delle informazioni e le nuove tecnologie, sempre più pervasive anche per effetto dell’intelligenza artificiale. Tutto cambia con una velocità repentina; la società che invecchia, il lavoro che si trasforma, richiedono quindi nuovi paradigma, economici, sociali, politici, istituzionali. Tanti nuovi soggetti irrompono sulla scena sociale e richiedono risposte adeguate e concrete, quindi nuove idee, nuovi progetti, nuova visione dell’economia, dei mercati e della globalizzazione, che devono diventare più umane.
Non si può più vivere nell’emergenza continua o alla giornata, necessita una “visione”, una prospettiva, forse anche un governo più capace e maggiormente incisivo”.
Benedetto Di Iacovo
Segretario Generale