Lettera aperta della CONF.I.A.L. alla Presidente Giorgia Meloni su salario minimo per legge, contrattazione collettiva e rappresentatività dei sindacati

Egr.Ma On. Giorgia Meloni

Presidente Consiglio dei Ministri

presidente@pec.governo.it

Oggetto: Lettera aperta su salario minimo per legge, efficacia dei contratti collettivi, rappresentatività dei sindacati, ruolo del CNEL.

Onorevole Presidente,

rappresento una delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, libera, autonoma, indipendente, la CONF.I.A.L., una delle organizzazioni del cosiddetto “mondo fuori”, che pur essendo presente in tutta Italia e in moltissimi luoghi di lavoro, pubblici e privati, non ha possibilità di comunicare proposte, idee e progetti ai tavoli istituzionali. Per questo ci permettiamo di indirizzarLe questa lettera aperta tramite le pagine dell’importante quotidiano “La Repubblica”, edizione del 22 agosto 2023.

Il tema dell’istituzione per legge di una soglia minima inderogabile di retribuzione, ha scatenato tra le forze politiche e nel mondo sindacale una sorta di “guerra di religione”, tra favorevoli e contrari.

La Confederazione Italiana Autonoma Lavoratori, che io dirigo, condividendo il taglio del suo governo, non intende prendere parte ad un dibattito appesantito da approcci ideologici o, peggio, finalizzati alla attrazione strumentale del consenso, politico o sindacale che sia, ma al contrario apportare un contributo di riflessione, per un confronto sereno su argomenti che interessano il lavoro e la vita di milioni di italiane e di italiani, coerente con la nostra visione di sindacato di comunità.

  1. Il “lavoro povero”

Il profilo incontrovertibilmente positivo del dibattito sul salario minimo legale, è l’emersione, finalmente, dei temi dell’ ”abbandono del lavoro” e del working poor nel nostro Paese. Per essi le chiavi di lettura sono certamente da ricercare nella drammatica perdita del potere d’acquisto del lavoro dipendente, figlia di una contrattazione nazionale che si è curata poco del livellamento dei salari italiani a quelli europei, nonché dell’impoverimento delle pensioni per eccessiva tassazione fiscale (27% in Italia; 2% in Germania; 5% in Portogallo; 10% in Francia). Sono i dati dell’Istat che evidenziano come negli ultimi trenta anni i prezzi siano cresciuti per tre volte rispetto alle retribuzioni, anche in conseguenza della non adeguata gestione dell’introduzione dell’euro nel 2002, e di politiche contrattuali, per come detto, rivelatesi inadeguate. E, oggi, con una fiammata inflazionistica del 4,8% – dovuta fondamentalmente alla crescita esponenziale dei prezzi dell’energia, conseguente alla invasione russa in Ucraina – come nella fiaba di Andersen “il re è nudo”.

Negli oltre trent’anni di globalizzazione accelerata, tra il 1990 e oggi – secondo il Censis nel suo ultimo Rapporto – l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite ed é l’unica economia avanzata in cui ciò è avvenuto. Nei nostri principali partners/competitors in Europa, Francia e Germania, le retribuzioni sono cresciute rispettivamente del 31,1 per cento e del 33,7 per cento.

Nell’ultimo trentennio con gli accordi triangolari di politica dei redditi del 1992 e del 1993, è stata archiviata la scala mobile, diminuita l’inflazione (sino all’anno passato) e ridotto il conflitto sociale attraverso la concertazione prima e il dialogo sociale poi. Nel contempo, con l’euro le retribuzioni sono state erose nel loro potere d’acquisto, la flessibilità è aumentata e le tutele del lavoro sono diminuite, mentre il sistema produttivo che un tempo poggiava sulla svalutazione competitiva, ha perseguito dopo l’entrata nella moneta unica la riduzione del potere d’acquisto, generando i fenomeni dell’abbandono del lavoro con la crescita di quello povero: ecco, di conseguenza, la grave “questione-salariale” dei giorni nostri.

Una delle soluzioni indicate per far crescere i salari, quella della contrattazione aziendale in cui correlare retribuzioni e produttività, ha il limite nella scarsa diffusione di tale livello contrattuale (anche in mancanza di contrattazione di secondo livello presso le singole aziende), con il risultato che nella maggioranza delle imprese, specie nel nostro Mezzogiorno, si persegue la competitività sui mercati grazie ai bassi salari, sovente in regime di dumping sociale, quando non addirittura attraverso il lavoro irregolare, o addirittura in nero o in elusione. Mentre certamente utile è la riduzione ulteriore del cuneo fiscale, del quale la scrivente apprezza l’approccio del suo governo.

  1. Il salario minimo legale

Il dibattito sulla legge per introdurre anche in Italia, come in 21 su 27 Paesi europei, il salario minimo, in relazione alla recente approvazione della direttiva euro-unitaria, deve tenere quindi conto della grave questione del sotto-salario e del lavoro povero e di quello irregolare, non certo di approcci ideologici o di iniziative propagandistiche e demagogiche.

La Confial ritiene che se si approva una soglia minima salariale per legge, essa dovrà ritenersi non solo inderogabile sotto il profilo retributivo per la contrattazione collettiva e strumento di eliminazione del “contratti-pirata”, ma anche sostegno alla crescita dei salari, per contrastare la svalorizzazione del lavoro e, quindi, base e non tetto per la contrattazione collettiva.

  1. L’ipotesi della legge per l’erga omnes dei contratti collettivi

Se, però, non si ritiene idonea la fissazione di minimi salariali per legge, per contrastare il fenomeno dell’impoverimento delle retribuzioni, allora si segua l’indicazione alternativa contenuta nella direttiva dell’Unione Europea, di conferire cioè, alla contrattazione collettiva nazionale efficacia generale (erga omnes), senza però il richiamo a quella dei c.d. “sindacati comparativamente più rappresentativi” e alla presunta autosufficienza dell’ordinamento intersindacale di Cgil, Cisl, Uil che non ha alcun fondamento legale e, anzi, è in palese contrasto con le previsioni della Costituzione.

Una legge, infatti, non potrebbe che provvedere all’attuazione dell’art. 39 Cost., certo attraverso il diritto vivente e, quindi, la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione dagli anni ’50 in poi del secolo trascorso, per un equilibrio tra autonomia collettiva e legge, evitando così tentativi surrettizi di aggiramento della norma costituzionale, che riproponendo il modello dell’ordinamento intersindacale, ormai obsoleto alla luce del diffuso pluralismo sindacale delle associazioni rappresentanti dei datori e dei lavoratori, avrebbero la conseguenza di essere presto dedotti innanzi alla Consulta per la conseguente dichiarazione di incostituzionalità.

La CONF.I.A.L., quindi, ritiene possibile – anzi auspicabile – un provvedimento di legge conforme alla Costituzione formale e materiale, rispetto all’ipotesi di imporre un sistema contrattuale ad efficacia erga omnes, sulla base di regole definite da alcune organizzazioni dei lavoratori, che si configurerebbe come un espediente in contrasto con il principio di libertà sindacale, prescritto dall’art. 39, comma 1, Cost., e in palese violazione dei successivi commi, la cui attuazione, come è noto, per il conferimento dell’efficacia generale dei CCNL, prevede il riconoscimento giuridico dei sindacati e regole certe per la definizione della rappresentatività.

  1. Gli istituti della rappresentanza e della rappresentatività

E in materia di estensione dell’efficacia dei contratti collettivi nazionali a tutti i lavoratori, alcuni settori sindacali hanno invocato una legge sulla rappresentanza e sulla rappresentatività.

Per la CONF.I.A.L., considerato che il sistema delle relazioni sindacali basato sugli accordi interconfederali e su un loro conseguente ordinamento intersindacale, Cgil, Cisl, Uil si è avvitato in una logica autoreferenziale, ben venga la legge, per liberarlo dall’ingessatura costituita dal rapporto corporativistico semi-pubblicistico, imperniato sulla nozione di “sindacato comparativamente più rappresentativo” con le cosiddette “storiche” associazione datoriali, oggi sempre meno rappresentative, anche  per mancanza di grandi gruppi industriali.

Una sorta di cittadella chiusa, sempre più piccola e assediata da nuove forme di sindacalismo autonomo e di base e da organizzazioni datoriali espressive del nuovo sistema produttivo reticolare in profonda trasformazione, nell’ambito di un elevato pluralismo associativo che ha eroso consensi e rappresentatività, arginato a fatica dai vecchi paletti di un ordinamento intersindacale statico, che impedisce a chi ne è fuori di esercitare legittimamente diritti sindacali e funzioni di contrattazione collettiva.

Una “legge sindacale” quindi, per superare l’oligopolio della rappresentanza, ma, come dianzi detto, rispettosa dei principi e delle previsioni dell’art. 39 della Costituzione, letti in chiave evolutiva secondo la giurisprudenza del Giudice delle leggi e della Suprema Corte, per riscrivere e aggiornare relazioni industriali che mostrano evidenti segni di logoramento, eliminando privilegi e rendite di posizione.

4.1 La “legge-stralcio” sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro

In attesa di una legge di attuazione della previsione costituzionale, su cui esistono importanti proposte di settori autorevoli della dottrina giuslavoristica, ma che non appare di facile approvazione in Parlamento, necessaria per garantire i principi di libertà e pluralismo sindacali, quindi anche la riduzione di conflitti esasperati nei luoghi di lavoro, secondo la CONF.I.A.L. si deve procedere con una “Legge-stralcio” di novella dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, modificando le rappresentanze sindacali aziendali (R.S.A.), che in atto possono essere nominate solo dai sindacati che hanno partecipato alle trattative contrattuali (e la cui ammissione ai tavoli è decisa dalle controparti datoriali!), in rappresentanze sindacali unitarie (R.S.U.), alla cui elezione, provvedono tutti i lavoratori, come nel pubblico impiego, con tutti i sindacati presenti nei luoghi di lavoro che possano liberamente concorrere, contendendosi sulla base di programmi il consenso dei lavoratori e i diritti sindacali e garantendo così al mondo del lavoro la democratica espressione del voto, quindi della rappresentanza.

Verrebbe così, ripristinata anche nel settore privato la libertà sindacale (art. 39 Costituzione) ai lavoratori, senza posizioni precostituite che hanno generato l’attuale immotivato oligopolio rappresentativo, generando conflitti e a volte manifestazioni e scioperi selvaggi.

  1. Il ruolo del CNEL

Su questi temi il governo, e per esso Ella Presidente Meloni, ha opportunamente investito il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Una buona idea, infatti, considerato che il CNEL è organo di rilevanza costituzionale previsto dall’art. 99 della nostra Carta fondamentale, espressivo dei soggetti collettivi rappresentativi del lavoro e dell’impresa, che svolge attività di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge e ha il potere di iniziativa legislativa in materia economica e sociale.  Infondate, pertanto, sono i rilevi di tipo istituzionale sul ruolo del CNEL sugli istituti in questione.

Il Consiglio, avendo natura collegiale, potrà sviluppare un adeguato dibattito nell’assemblea, estendendo il confronto anche a organizzazioni dei lavoratori e dei datori non presenti nell’organismo, ma rilevate e censite sotto il profilo della rappresentatività dal Ministero del Lavoro – promuovendo gli “Stati generali del dialogo sociale – dando un contributo strategico su istituti così importanti che abbisognano di consenso ampio e non di polemiche o di recinti ristretti della rappresentanza.

Onorevole Presidente,

la CONF.I.A.L. intende sviluppare la propria azione sindacale e la propria proposta sulle materie illustrate su queste basi di metodo e di merito, confidando nella Sua volontà di aprire il dibattito al maggior numero di soggetti rappresentativi degli interessi collettivi (quel cosiddetto “mondo fuori” che non ha voce, ma è presente e diffuso in tutti i luoghi di lavoro), senza preclusioni e barriere, per pervenire a risultati che siano nell’interesse esclusivo del mondo del lavoro e di quello dell’impresa, per un’Italia più equa, più solidale, più competitiva.

E’ con questi auspici che, nel ringraziarla per l’attenzione che vorrà prestare a queste riflessioni, invio

Cordiali saluti.

Roma, 21 agosto 2023

Benedetto Di Iacovo

Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica

NOTA

Alcune delle riflessioni contenute nella presente lettera aperta sono state riprese all’interno dell’articolo allegato pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”.

 

 

 

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