Il Segretario Confial: La globalizzazione disumana. Ripartire dal Lavoro e dal Mezzogiorno

LO SVIMEZ nel suo ultimo Rapporto ci segnala, ancora una volta, un doppio divario: L’Italia rallenta rispetto a UE, il SUD nel 2018 cresce meno del CENTRO-NORD. Il PIL MERIDIONALE 2018 +0,6%, Ristagnano i consumi,  cala  ancora la spesa pubblica. Al Mezzogiorno, evidenzia lo Svimez,  mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap occupazionale col Centro-Nord. Il dramma maggiore è l’emigrazione verso il Centro-Nord e l’estero. I diritti di cittadinanza limitati al Sud. Forte disomogeneità tra le regioni meridionali: nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna registrano il più alto tasso di sviluppo. In effetti, al di là anche di queste comunicazioni dello Svimez, il nostro tempo ci illustra, purtroppo, visioni drammatiche di conflitti militari, terrorismi e una globalizzazione economica sempre più disumana, esemplificata dal miliardo di persone che vivono con meno di un euro al giorno sul nostro pianeta. Un fenomeno, quello della globalizzazione, che come ha lucidamente preconizzato lo storico Eric Hobswam ha messo in crisi anche uno dei fondamenti delle moderne democrazie: la sovranità degli Stati nazionali, considerato che molte delle decisioni che riguardano le prospettive di vita e di lavoro dei cittadini in tutto il mondo non sono assunte dalle istituzioni rappresentative della volontà popolare, ma da organi tecnocratici che ragionano solo attraverso parametri economicistici di stampo neoliberista. La risposta però, non può essere quella di un sovranismo, che più correttamente si deve definire neo-nazionalismo, ma quello dell’integrazione e della cooperazione internazionale, che metta al centro i diritti sociali e il lavoro.

L’odierna trasformazione è figlia della mondializzazione economica che, invece di creare sviluppo e nuova occupazione, ha generato precarietà nel lavoro e nella stessa antropologia sociale umana. Ciò che è grave, è che ancora oggi e ogni giorno, i cantori interessati delle bellezze del liberismo economico senza regole ci dicono che il lavoro deve essere subalterno agli interessi della competitività, del profitto, del taglio dei costi, postulati di un nuovo dogma: quello del capitalismo globalizzato. Questa dottrina oltre che opinabile dal punto di vista scientifico, appare ancor meno accettabile dal punto di vista etico perché di fatto trasforma il lavoro umano in una merce. Ad essi si deve rispondere che nell’era moderna il fattore-lavoro costituisce l’elemento fondamentale della dignità della persona per costruire una società ed un’economia in cui libertà individuali e benessere collettivo stanno in equilibrio per sviluppare la democrazia ed i diritti di cittadinanza, nonché la società e la convivenza civile nel loro complesso.

Non ci possono essere Aree con marcatori di sviluppo più avanzati o con autonomie differenziate, senza contrappesi di solidarietà territoriali e Aree con profondi differenziali di sviluppo economico, sociali, occupazionali. L’Italia si potrà riprendere se tutto il Paese, compreso il mezzogiorno, marciano con analoghi indicatori e prospettive e opportunità di crescita.

Il Mezzogiorno

In questa prospettiva si deve rilanciare la tensione meridionalista, erede delle analisi e delle proposte sulla questione meridionale, oggetto di discussioni sin dalla metà del diciottesimo secolo quando i riformisti dell’illuminismo napoletano sostennero che una nuova società meridionale dovesse sostituirsi al regime feudale che si stava disgregando.

In verità da decenni il meridione è stato oggetto d’interventi dei vari governi. Esiste purtroppo un contrasto tra la massa ingente d’interventi effettuati e gli effetti che essi hanno avuto sull’occupazione complessiva del Meridione. La disoccupazione era alta nel passato e lo è ancora alta oggi. I tanti interventi speciali e straordinari nell’agricoltura e nelle opere pubbliche non sono riusciti a ridurre questo divario. Tanti studi hanno descritto il Meridione come un’area d’industrializzazione senza sviluppo o di sviluppo senza occupazione. E, nonostante i molteplici investimenti pubblici, i vari rapporti del Censis, dell’Istat e dello Svimez documentano, ancora oggi, l’elevata disoccupazione, i redditi bassi e le condizioni di vita precarie del Meridione. Il problema è che i vari programmi governativi si sono concentrati sull’assistenzialismo, per raccogliere voti senza, però, ridurre il divario.

Un solo dato, ai giorni nostri, deve fare riflettere: secondo una recente statistica Eurostat rispetto a una media Ue del 73,1%, nel Sud d’Italia solo meno della metà delle persone tra i 20 e i 64 anni ha un lavoro. Le posizioni di fondo classifica sono tutte occupate da regioni del Sud Italia. Le percentuali riferite al 2018 vedono in questa speciale graduatoria europea penultima la Sicilia con il 44,1% di persone che possiedono un’occupazione, preceduta dalla Campania al 45,3%, la Calabria con il 45,6% e la Puglia con il 49,4%. All’ultimo posto la Mayotte, un arcipelago africano regione d’oltremare francese tra il Madagascar e il Mozambico, con il 40,8% di occupati.

Sui mali del Mezzogiorno, quindi, bisogna evitare ogni ipocrisia, poiché se è vero che dall’Unità d’Italia sino ad oggi esso è stato marginalizzato, ciò è stato possibile anche per la colpevole acquiescenza delle classi dirigenti meridionali, che hanno preferito gestire le risorse disponibili, da “predatori di presente”, anziché “costrutori di futuro”, in una logica di scambio politico-clientelare (anche con le organizzazioni criminali) all’insegna del familismo amorale e delle logiche di clan politici e d’affari, anziché promuovere lo sviluppo sociale ed economico collettivo. Senza dimenticare quanto evidenziato in un ormai celebre studio pubblicato nel 1993 da Robert Putnam, dal titolo “la tradizione civica delle regioni italiane”. Secondo il sociologo americano la storia d’Italia, sin dalla fine dell’Impero romano d’Occidente, è stata segnata da una dicotomia, da un lato le regioni ad alto rendimento istituzionale ed economicamente più avanzate (quelle settentrionali), dall’altro quelle a scarso rendimento e basso sviluppo economico (le meridionali), a causa dello scarso senso civico nel Sud. E questo è uno dei punti nodali per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia: oltre alla necessaria solidarietà da parte del resto del Paese, serve creare delle comunità civiche basate su rapporti orizzontali di reciprocità e cooperazione, per promuovere la fiducia, l’impegno civile, la tolleranza, lo sviluppo autopropulsivo con la valorizzazione delle risorse locali, l’autodeterminazione  politica.

In una parola serve individuare nuove strategie di effettivo sviluppo, oltre il lamento e i vecchi piagnistei. Un Mezzogiorno che punti sulla valorizzazione delle risorse umane e su infrastrutture materiali ed immateriali capaci di colmare gli attuali divari di sviluppo. Che guardi a Industria 4.0, all’intelligenza artificiale, formando il necessario capitale umano, quindi puntare su nuovi costruttori di futuro per sconfiggere i tanti predatori di presente, che hanno ridotto il Mezzogiorno nelle condizioni evidenziate dallo Svimez.

Benedetto Di Iacovo

Segretario Generale Confial Nazionale

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