La pandemia prima e la guerra oggi hanno messo a nudo le criticità del sistema produttivo e redistributivo del sistema Italia ed anche Europeo.
Dipendenze da altri Stati, mancanza di programmazione sugli approvvigionamenti, inadeguatezza o assenza totale relativamente ai processi di internazionalizzazione e di import/export delle imprese.
Nel XXI sec. la questione delle politiche industriali si presenta ancora come l’esigenza di favorire lo sviluppo di nuove attività, basate su conoscenze tecnologiche che sono difficili e costose da acquisire e sviluppare, realizzate con processi produttivi complessi, che coinvolgono soggetti diversi e richiedono decisioni coordinate e l’organizzazione di nuovi mercati.
Le imprese che possono sviluppare le nuove attività hanno bisogno di informazioni, coordinamento, incentivi, risorse e protezioni temporanee per potere affrontare i rischi e coprire i costi dell’apprendimento e dell’investimento. Tuttavia, tali processi avvengono in un contesto contrassegnato da tre elementi particolari: un cambiamento tecnologico di tipo evolutivo, dominato dalle tecnologie dell’informazione e comunicazione, nonché dall’intelligenza artificiale; un’elevata apertura internazionale delle economie e un sistema di produzione internazionale organizzato intorno alle imprese multinazionali; una regolazione dei mercati interni e internazionali in cui la liberalizzazione e la tutela della concorrenza assumono un ruolo prevalente rispetto alle considerazioni sull’evoluzione della struttura economica.
L’Italia, entrata in Europa ed insieme a tutta l’Europa ha commesso il grande errore di essere dipendente su molti settori, soprattutto della componentistica automobilistica, dell’elettronica e dei vari circuiti assemblati e non. Un errore madornale, che oggi paghiamo con il fermo quasi totale, ad esempio della produzione e commercializzazione delle automobili, per eccesso di dipendenza da Taiwan ed altre realtà Asiatiche.
Se in passato, con economie nazionali relativamente chiuse, lo Stato poteva individuare le priorità dello sviluppo, ora, con economie sempre più aperte, conta soprattutto il processo con cui si possono sperimentare nuove politiche industriali. Perché esse siano efficaci, sono necessarie – sulla base del dibattito attuale e delle recenti esperienze di successo in Asia – alcune condizioni istituzionali e la definizione delle politiche.
Quando i settori dinamici sono caratterizzati da un rapido cambiamento tecnologico – per es., l’elettronica, l’informatica, le comunicazioni, le biotecnologie, le tecnologie ambientali – le politiche industriali e dell’innovazione puntano a favorire l’acquisizione e la diffusione di conoscenze in questi ambiti, sostenendo le attività di ricerca e sviluppo, la creazione di nuove imprese, l’introduzione di nuovi prodotti, processi e modelli organizzativi. Tale strategia richiede in genere interventi di sostegno all’offerta delle imprese attive in questi campi e di stimolo alla domanda, attraverso la creazione e l’organizzazione di nuovi mercati con le necessarie regolamentazioni e un uso strategico della domanda pubblica. Infine, le politiche industriali sono necessarie per fornire le condizioni di contesto – istruzione, conoscenze, infrastrutture, materie prime – indispensabili per lo sviluppo di nuovi settori.
Sul piano delle istituzioni, è necessaria un’elevata autonomia dello Stato rispetto agli interessi delle imprese, la presenza di istituzioni e agenzie pubbliche con competenze consolidate e comportamenti non collusivi, la definizione di obiettivi realistici. Nella realizzazione delle politiche, il sostegno concesso deve essere temporaneo, legato a buone prestazioni economiche e di esportazione, con criteri specifici per valutare i risultati delle misure introdotte, e la flessibilità di concentrare gli sforzi su attività e imprese con possibilità di affermazione.
Anche nel XXI sec., molte esperienze di successo di imprese, settori e Paesi continueranno a essere legate ai risultati positivi di qualche forma di politica industriale, di cui l’Italia deve ritornare a dotarsi.