Coordinamento Donne Confial: La disparità di genere tra accettazione e lotta al tempo del Covid

Editoriale di Maria Luigia Alimena, Coordinamento Nazionale Donne Confial

La pandemia sta agendo da amplificatore di tutte quelle disuguaglianze che sono parte della struttura sociale di ogni comunità, non solo del sistema italiano, già provato prima del Covid.

In particolare le disuguaglianze aumentano per noi donne. Siamo per “natura” prese nel nostro ruolo fondamentale nella costruzione e nella cura delle famiglie, a partire dai figli  fino all’assistenza dei familiari tutti, ma, soprattutto di quelli non in piena autonomia che necessitano di assistenza diretta o indiretta; impegnate in molteplici compiti che non possiamo dismettere come si fa con un abito e disgiungere dai “doveri” sociali che ci vogliono “casalinghe” oltre che in carriera lavorativa e non possiamo scomporli dalle nostre indoli quando esistono.

 Lo smart working, in tal senso, rappresenta per noi da una parte, un’occasione organizzativa di vantaggio che ci permette  di conformare  vita familiare e vita lavorativa nello stesso spazio, ma, dall’altro, è  causa altamente alienante nel sovraccarico di impegni da gestire in quella continuità di ruoli che ci sono propri nell’unicità dell’ambiente domestico, sottoponendoci ad uno stress emotivo e della psiche nella stabilità della persona in carriera, della donna, della madre e della compagna.

La pandemia sta dimostrando, quindi, che quella che viene perseguita come parità di ruoli, in realtà, è una chimera irraggiungibile sulla base di strutture sociali cosi fondate e radicate su di un ruolo delle donne che è sottoposto a continue prove strutturali e di concetto.

 Quando non è lo smart working ha provare una donna in questo particolare momento storico, ci pensa il Covid.

Da un rapporto INAIL risulta che il 70% di casi di contagio denunciati è al femminile. Si tratta di contagi professionali, in controtendenza con i dati in situazione di normalità, in cui il complesso degli infortuni sul luogo di lavoro, colpisce in prevalenza gli uomini.

Nel solo mese di dicembre, un mese normalmente altamente produttivo economicamente e quindi lavorativamente per via delle festività natalizie e della conclusione dell’anno che apre all’intensificarsi di alcune attività, l’occupazione è scesa di 101mila unità, un crollo tutto al femminile se si calcola che circa 99 mila sono le donne che sono tornate disoccupate nello stesso periodo. Sono, oltretutto, aumentate le dimissioni delle neo mamme, secondo i dati dell’ispettorato del lavoro sono, infatti, quasi 38 mila le donne che hanno lasciato il lavoro per assistere i loro piccoli, di contro i papà sono stati circa 14 mila nel 2019, una differenza che denota l’estrema difficoltà nel gestire i ruoli genitoriali e quelli familiari da parte delle donne sempre sottoposte alla scelta tra la realizzazione lavorativa e quella familiare. Una scelta che per tante si rivela altamente gravosa allorquando, purtroppo, si registra il fallimento della coppia. Le donne si ritrovano sole e sprovviste di una indipendenza lavorativa che possa rappresentare anche una strada di riscatto da quello che spesso viene vissuto come un fallimento personale ed una colpa nei confronti dei figli, vittime indirette di proprie scelte personali. Un circolo vizioso che va ad alimentare anche le tematiche delle denuncie evitate nei confronti di partner violenti al fine di garantirsi una sicurezza economica che altrimenti non sempre viene tutelata per sé stesse e per i figli. Un circolo viziato da inadeguatezze e mancanze istituzionali e di tutela dei diritti.

La pandemia sta agendo in tal senso in un contesto globale di aumento delle disparità di genere a partire dal mondo del lavoro, che come un domino si riverbera su tutti gli altri aspetti. Sicuramente questo collasso occupazionale al femminile ha origine nella natura stessa del lavoro svolto dalle donne, che ci vuole principalmente impegnate in lavori del settore terziario (servizi: il turismo,il commercio, la ristorazione, la cura della persona) e quello domestico, che più di altri in questo momento stanno vivendo la crisi.

Spesso questi settori si sostengono con contratti brevi, di estremo precariato, se non fuori da ogni riconoscimento contrattuale e per questo di più facile eliminazione da parte dei datori di lavoro.

Noi donne risultiamo, in questo clima quasi irreale, sovra esposte su tutti i fronti: nei lavori maggiormente scoperte al contagio, data la prevalenza femminile nel settore sanitario (64,4%); il secondo fronte, quello delle persone che sul mercato di lavoro hanno perso ruolo ed occupazione; il terzo, quello dell’aumento del carico di impegni da gestire.

Il tema della casa è un altro dei tema scottanti che andrebbero affrontati con più consapevolezza anche nelle istituzioni politiche. La pandemia, infatti, l’ha resa luogo di tutela sanitaria, ma non di sicurezza. Durante il lockdown sono infatti raddoppiati i casi di omicidio in ambito familiare e domestico. Soprattutto sono triplicati i casi di omicidio di donne in ambito familiare- affettivo: muore ammazzata una donna ogni due giorni. La casa si conferma lo spazio di maggior pericolo unitamente ai luoghi di lavoro, ogni 10 donne uccise, 6 sono omicidi praticati da un partner. C’è più paura di restare a casa che ad uscire di notte.

Ciò che colpisce in questo clima così alienante, così sospeso nelle speranze che via via si assottigliano con il trascorrere dei mesi di distanziamento, è la rassegnazione con cui si vive il proprio ruolo.

Le disattenzioni istituzionali, politiche e di interventi verso tutte quelle donne che oggi si trovano sempre più chiuse nella solitudine di situazioni aggravate da difficoltà economiche lavorative, familiari, necessitano di un supporto immediato, che sia anche di accompagnamento ad una uguaglianza scevra dai ruoli la cui regolazione non può essere delegata a misure concrete, ma che  investono l’educazione a partire dal riconoscimento, responsabile e cosciente, che la disparità dei ruoli esiste a partire da una natura che non può essere debellata se non a partire dalla stessa ammissione che una differenza esiste.

 Essere diverse non è una falda da riempiere, non necessariamente.

Siamo preposte a garantire la continuità della specie umana, ma non possiamo farlo da sole, abbiamo solo la necessità di essere sostenute. Sono le falde istituzionali, di ruoli e della gestione del mercato del lavoro, che vanno colmate da misure atte a far sì che la disparità naturale, che ci rende diverse ed uniche, non contribuisca a renderci sole e vinte.

Perché in fondo vinte non lo saremo mai, facciamo solo più fatica e con noi l’intera struttura sociale e propulsiva del Paese.

Non è la prima occasione che nella storia dell’umanità le donne si trovano a dover rimodulare i propri ruoli. Pandemie e guerre sono le situazioni tipiche in cui i compiti delle donne tornano ad essere modificati traendo sempre origine da quelle concezioni patriarcali che ci vede sempre un po’ subalterne al ruolo degli uomini ma pur sempre protagoniste ma un passo indietro. Nonostante i nostri ruoli assistenziali ed educativi sono essenziali al superamento di crisi umanitarie coincise con guerre mondiali o sanitarie come quelle della spagnola. La strada del riscatto della umanità non può prescindere dalla strada della emancipazione femminile, “le donne hanno sempre svolto la funzione di specchi, dotati del magico e delizioso potere di riflettere la figura dell’uomo al doppio delle sue dimensioni naturali”,  per come scrisse Virginia Woolf in un saggio sui diritti delle donne scritto nel 1938 alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Nonostante i numeri e le condizioni ci vedano oggi, ancora una volta come sconfitte dal sistema, esistono storie di riscatto e di speranza che provano la capacità e la caparbietà del mondo femminile. Storie di donne provate dalla pandemia che si sono reinventate partendo dai loro hobby e che da questi hanno costruite piccole attività imprenditoriali o sociali. E’ il caso di Giovanna, 35 anni, impegnata nel turismo, poi per un lungo periodo mamma a tempo pieno che durante la pandemia ha osservato l’impennata di attività di e-commerce ed ha avuto il coraggio di realizzare la propria autonomia, investendo in una attività di cucina dedicata.

Come la mia storia dimostra, che proprio in un momento di buio lavorativo, sto riassaporando l’opportunità di un impegno che mi restituisce fiducia in quanto ho  l’opportunità, in un Sindacato come la Confial, di poter esprimermi senza censure o limitazioni.

Una storia come, per fortuna ce ne sono tante, che dimostra che noi donne abbiamo bisogno solo di opportunità, di darci possibilità. Siamo capaci di trarre da situazioni di disagio occasioni di crescita ma queste occasioni vanno veicolate, supportate, mai solo delegate alla politica, ma a tutti quegli strati sociali che coinvolgono i nostri ruoli essenziali ed imprescindibili alla crescita ed alla evoluzione dell’umanità tutta.

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