53 ANNI DOPO, ATTUALITA’ DELLO STATUTO DEI LAVORATORI ED ESIGENZE DI ADEGUAMENTO Benedetto di Iacovo, Segretario generale della Confial

Cinquanta anni fa la Costituzione “veniva portata nelle fabbriche”. Con l’auspicio di raggiungere tale obiettivo nel 1952 Giuseppe Di Vittorio aveva proposto l’approvazione di uno Statuto dei lavoratori, un testo che rendesse effettive le garanzie relative al lavoro espresse nella Carta fondamentale e sino ad allora rimaste lettera morta. Lo Statuto arrivò nel 1970. Era il 20 maggio quando la legge 300, intitolata “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Una legge voluta fortemente dal Ministro del lavoro socialista Giacomo Brodolini e scritta in primo luogo da due giuslavoristi socialisti, Gino Giugni e Federico Mancini, che era assolutamente avanzata per l’epoca, con la quale si sottraeva agli imprenditori il controllo assoluto su ciò che accadeva nei luoghi di lavoro, permettendo l’ingresso ai sindacati, impedendo i licenziamenti “per rappresaglia” e disponendo che le assemblee sindacali fossero retribuite e organizzate all’interno di fabbriche e uffici.
Con la legge 300 inoltre venivano fissate garanzie per la libertà di opinione e tutele e diritti rispetto all’azione sindacale.
Cosa resta oggi di quello Statuto? Per prima cosa, non si può non ricordare il suo pesante depotenziamento con la riforma dell’articolo 18 sui licenziamenti illegittimi, prima con la legge Fornero e poi col Jobs act.
Oggi lo Statuto conserva tutta la sua validità culturale e sociale, ma ha l’esigenza di un ampliamento della sua sfera applicativa e di un suo aggiornamento.
C’è l’esigenza in Italia di ridefinire il catalogo dei diritti sociali, ampliandolo.
Ai giorni nostri il sistema dei diritti del mondo del lavoro non può non tenere conto, ad esempio, dei cambiamenti nella stessa nozione di subordinazione e delle nuove figure di lavoro autonomo meritevoli di tutele, in conseguenza dei profondi mutamenti provocati nei sistemi produttivi e nell’organizzazione sociale dalle nuove tecnologie. Si pensi ai lavori in piattaforma e si guardi a come cambierà il modo di prestare le attività lavorative a seguito della pandemia da Covid-19, con la diffusione dello smart-working, istituto che abbisogna senza indugio di immediati interventi regolativi sui profili della formazione, della sicurezza, della dotazione degli strumenti informatici, della privacy e della disconnessione.
E’ del tutto evidente, quindi, che c’è l’esigenza di promuovere e ampliare i diritti sociali in chiave evolutiva, in particolare per definire tutele ai nuovi e in gran parte fragili “lavoratori digitalizzati” e contrastare la svalorizzazione del lavoro prodotta anche da trenta anni di leggi sulla flessibilità.
Considerato che la distinzione storica tra lavori, quello subordinato e quello autonomo, per effetto della diffusione dell’economia 4.0 e delle imprese digitali, ha perso la sua significazione economica e sociale, la Confial propone la realizzazione di uno Statuto del lavoro, che preveda tutele e soglie minime di compenso uguali per tutte le tipologie di prestazione, in ossequio all’art. 35 della Costituzione, che, come è noto, prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”.
E’ necessaria una novella dell’art. 19 della legge n. 300/1970, come proposto di recente dalla Confial.
L’attuale formulazione dell’art. 19 della legge n. 300/1970, allo stato consente che possono essere nominate rsa solo dai sindacati, che partecipino alle trattative contrattuali e la cui ammissione ai tavoli è decisa dalle controparti datoriali, con i vecchi paletti di un ordinamento intersindacale che impedisce a chi ne è fuori – pur essendo rappresentativo o comunque presente in un’azienda con propri associati – di esercitare legittimamente diritti sindacali e funzioni di contrattazione collettiva, previsti dall’art. 39 della Cost. .
La proposta della Confial è la novella dell’art. 19 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, con la modifica delle rappresentanze sindacali aziendali in rappresentanze sindacali unitarie (RSU anche nel settore privato), a cui, come nel pubblico impiego, tutti i sindacati possano liberamente partecipare sulla base di liste, contendendosi con programmi e azioni il consenso nel mondo del lavoro e garantendo così il diritto di voto, per consentire ai lavoratori di votare e scegliere i propri rappresentanti attraverso liste di tutte le organizzazioni sindacali, nel rispetto dei principi di pluralismo e libertà sindacali, sanciti dall’art. 39 della nostra Costituzione, dalle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dai Trattati europei.
Una modifica in attesa di una revisione del sistema di relazioni industriali, aperto a tutti i soggetti collettivi effettivamente rappresentativi, promuovendo una legge di attuazione dell’art. 39 della Costituzione, che garantisca i principi di libertà e pluralismo associativo e l’efficacia generale dei contratti collettivi.
Ecco, per celebrare adeguatamente una delle leggi riformiste più importanti nella Storia del nostro paese, si deve discutere di un suo adeguamento alle mutate condizioni sociali ed economiche prodotte dall’economia 4.0.

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